Con un pizzico di volontà, rieccomi a rompere il silenzio “prezioso” di questo periodo particolarmente tosto sul piano personale…
Avendo riaperto alcune marginali porte alle interazioni umane “extra familiari”, finisco costantemente ad impattare su dejavu a ripetizione.
Temo che sul piano relazionale, si stiano raccogliendo i frutti di decenni di atteggiamento “corrosivo” in termini di qualità, e che ha portato al degrado del tessuto sociale attuale.
Ma provando ad osservare il fenomeno più da vicino, si riesce a tirarne fuori una “quadra” anche in termini risolutivi?
Potenzialmente la cosa è sicuramente fattibile, ma a lato pratico, dipende dai due perenni cavalieri dell’evoluzione umana: umilta’ e volontà.
…E QUI… purtroppo, casca l’asino…
Gran parte dei problemi di natura sociologica che questo periodo di pandemia ha solo reso più evidenti, in realtà facevano parte di tutto quel sottostante rimasto “poco visibile” per un sacco di tempo.
I dati sconfortanti relativi alla piaga dell’analfabetismo funzionale, l’infodemia etc, rappresentano semplicemente “il responso del termometro”, ma non “la febbre”!
Cosa centrano i padri…
Tra gli studi che sto portando avanti, e l’osservazione continua dei fenomeni “social”, noto purtroppo che sfugge (anche a persone molto intelligenti) la correlazione tra figura paterna latente o inconsistente e l’atteggiamento medio delle generazioni che prendono il posto delle precedenti (già da almeno 2/3 turni).
Il mancato contatto con un adeguato senso di responsabilità, sta degradando “da dentro” le relazioni umane, partendo dal “graspo” del tessuto di ogni società: “la famiglia”.
Oggi, ma il fenomeno esiste da almeno 4 generazioni in un incremento costante verso il periodo attuale, il ruolo del “genitore amico” ha fatto decisamente capolino, strutturandosi su una base che in realtà è molto più antica: quella del “non ascolto”.
Intendiamoci: comprendere non significa “giustificare”!!! …ma senza capire il fenomeno che sta agendo socialmente, è quasi impossibile porvi rimedio.
Per cui, da insegnante, (al pari di qualsiasi educatore) per quanto la cosa mi “possa infastidire sul piano personale”, sono perfettamente consapevole che vada presa in mano e ci chiami a lavorare su questo aspetto senza riserve… o quantomeno cercando di portare un qualsiasi umile, ma fondamentale, contributo.
ASCOLTO… facciamo un po’ di chiarezza…
Prima di tutto, vorrei portare l’attenzione di chi legge su un fen0meno che “quelli della mia generazione” conoscono bene:
ASCOLTARE e UBBIDIRE non sono sinonimi!
Sono alle porte dei 50, nipote della generazione delle grandi guerre mondiali… un mondo “molto lontano” dalla realtà attuale, e che ha prodotto alcune cricche relazionali “legittime e comprensibili” a quell’epoca, e che oggi, paradossalmente, invece di essere state “riequalizzate”, si sono acuite e radicate nel comportamento medio.
Quando la mamma o il papà “allora” ti dicevano: “non ascolti”, si riferivano ad un non ben definito: “NON OBBEDISCI”!
Questo, penso sia uno dei passaggi salienti che hanno favorito quel fenomeno che oggi è conosciuto come “analfabetismo funzionale”!
In una cultura dalla straordinaria ricchezza linguistica come la nostra, l’ignoranza (bonaria a quel tempo, oggi solo frutto di pigrizia, presunzione e arroganza!) ha giocato un brutto scherzo…
Il fatto di porre l’attenzione più che altro “sul capirsi”, ma a scapito di una coerenza tra i concetti e le parole usate, hanno reso fertile un terreno su cui si radica il tessuto sociale in termini comunicativi.
Ecco che, laddove il concetto di ASCOLTO veniva interpretato come “DOVER OBBEDIRE” (con varie sfaccettature legate alla propria individualità), si è dapprima sovrapposto, e successivamente sovrascritto QUEL NUOVO SIGNIFICATO a quello originario: “prestare attenzione”!
Prestare attenzione & dare valore a ciò che si è ascoltato…
Il passaggio successivo, è legato ad un ulteriore serie di fattori…
Qualora infatti un individuo sia perfettamente in grado di “prestar attenzione” a ciò che dice il suo interlocutore, capita sovente che “il contenuto del messaggio”, subisca distorsioni, concellazioni e generalizzazioni.
Chi ha effettuato studi (anche di base) di PNL, conosce bene il fenomeno e ciò che vi è legato… per chi invece non ha a background questo tipo di competenze, è sufficiente comunque prenderne coscienza ad un livello basico.
Le strutture mentali che vengono costituite sull’IMPALCATURA delle proprie CREDENZE, determinano “il significato percepito” del mondo che si osserva.
In altre parole, una questione è la “realtà”, un’altra è la “ricostruzione interna” che ci si fa della stessa.
Sulla prima abbiamo un potere nullo, o relativo ai gradi di influenza con cui siamo in grado di impattarvi…
Sulla seconda, abbiamo “potere assoluto”, a patto di possedere le competenze e abilità necessarie! (che sono SVILUPPABILI!)
In altre parole, “ciò che si crede”, modificare il valore percepito di ciò che si è in grado di ascoltare, capire e comprendere!
Quando in un’interazione si “sceglie” di PRIVILEGIARE la propria percezione del significato di ciò che si è ascoltato, distorcendolo a nostra immagine e somiglianza, o cancellandolo, o ricorrendo a generalizzazioni tipo “frasi fatte, dogmi & affini”, si va incontro ad un inevitabile e ulteriore compromissione del “senso dell’interazione”.
In parole povere, comunicare con persone che si atteggiano “o non ascoltando”, o “distorcendo costantemente” ciò che viene detto loro, genera non solo “frustrazione in chi esprime un concetto”, ma si arriva velocemente alla “perdita dello scopo” nel comunicare!
E QUESTO E’ IL VERO DRAMMA!
Senza uno scopo, non esiste motivazione!
Privandoci di uno scopo, la motivazione si affievolisce fino a scomparire…
Quando questo avviene in rapporti “poco importanti”, la frustrazione è minima come il prezzo da pagare per “la chiusura delle comunicazioni”.
Più il legame è forte, e più aumenta questo prezzo!!! Sia che si decida di “rimanere connessi”, sia che si opti per l’interruzione.
Ora, prova a “scavare leggermente” sulla superficie della realtà che ti circonda…
…la media degli individui in cui ci si imbatte. gravita attorno a livelli di ascolto “basici” se non inesistenti…
Durante le interazioni, è come approcciare ad un orecchio sul tavolo… che “sente” ma non presta attenzione a ciò che arriva.
Poco più in la, qualora questa attenzione ci fosse anche, il messaggio finisce per essere distorto in generalizzazioni, pregiudizi e presupposti del ricevente… e ci si trova coinvolti in una sorta di “assurda lotta” attraverso cui TENTARE DEI FAR CAPIRE ALL’ INTERLOCUTORE il proprio punto di vista o semplicemente ciò che si vuole esprimere.
E’ una lotta “impari” in realtà, perchè il significato che arriva, dipende totalmente “dalla percezione del ricevente”… come se “quello che parte” avesse sempre e comunque un significato secondario rispetto a quello che arriva!
Frustrazione e demotivazione, rabbia e delusione, iniziano presto a farsi sentire… compromettendo (spesso irrimediabilmente) la qualità dei rapporti.
La mancanza di “senso di responsabilità” rispetto a “ciò che si decifra internamente”, diviene quel comodo alibi che si rivelerà ben presto una condanna…
“ma si… chi se ne frega?!?! Sai in quanti siamo?!? ci rimette lui…!”
Ed ecco comparire i chiodi della bara della comunicazione di valore…
Da quel momento, le conversazioni si tramutano in “pensieri semplicemente assonanti tra loro”, crocifiggendo “il valore profondo della diversità” e della ricchezza potenziale a cui essa conduce.
Gente che “quaqquera” dicendo le stesse cose ma parlando di nulla… oppure gruppi di persone che a turno appoggiano la bocca o un orecchio sul tavolo mentre annuiscono ipnotizzati senza la minima interazione reale.
E’ dal basso che i può porvi rimedio, non dall’alto!
Ricucendo la questione “padri” menzionata qualche riga fa, ciò che blinda “il problema” e de facto impedisce l’attuazione di qualsiasi soluzione, è la “convinzione” che questa debba pure venire “dall’alto”!
E’ questo frame sociale che condanna il degrado e conduce alla mancanza di evoluzione.
Il fallimento “dei padri” (per assenza o inconsistenza) a cui alludevo, è proprio in questa deleteria e subdola forma di “deresponsabilizzazione”, secondo cui è sempre qualcuno che funge da genitore/autorità che deve arrivare il cambiamento!
Purtroppo, a meno che non si auspichi in utopistiche “DITTATURE BENEVOLE”, questo non può avvenire… specialmente alle condizioni sociali attuali.
E’ dal basso, dalla responsabilità del singolo che vanno innestati i cambiamenti… esattamente come è dallo strato di base di una piramide che si costruisce il monumento verso l’alto!
E questa cosa, può avvenire attraverso l’innesco determinato di un atteggiamento UMILE e VOLENTEROSO, nella direzione di un cambiamento.
Il resto, sono chiacchiere e lamenti sterili (a livello di soluzione, ma estremamente profittevoli quando ci si nutre della commiserazione compassionevole altrui!!! ma qui si apre un mondo, di cui magari scriverò in un altro articolo).
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Buona riflessione
– Sergio –